Arancia Avariata

L’insopportabile ed inevitabile declino del Basket Italiano.

Those were the days
4099 giorni.

Tanti ne sono passati dal 27 agosto del 2004.

Il giorno che rappresenta forse il punto più alto della pallacanestro italiana, almeno nella cosiddetta “età moderna”.

La semifinale olimpica vinta contro la Lituania ad Atene fu vista da molti non come un punto d’arrivo, ma di partenza, d’inizio di una nuova “Età d’oro del basket italiano”.

4099 giorni dopo il basket italiano è rappresentabile con un panorama triste e deprimente, con pochissime luci ed innumerevoli ombre.


Tutto parte dalla Maglia Azzurra

Simone Pianigiani e Gianni Petrucci: c’eravamo tanto amati
I “magnifici 12” di Atene sono anche, tranne poche eccezioni, gli eroi di Stoccolma 2003, di quella medaglia di bronzo totalmente impronosticabile dopo il pessimo inizio dell’Europeo svedese, quella medaglia vinta contro la Francia ribaltando il -33 di Lulea.

Cuore, determinazione e anche tanta “ignoranza“ (termine che personalmente aborro) furono la base del gruppo guidato da Charlie Recalcati, elementi che possono essere ritrovati anche nell’ossatura della squadra che ad Atene si fermò soltanto in finale contro l’Argentina.

In pochi avrebbero pensato, dopo quel mese olimpico, che undici anni dopo il medagliere italiano sarebbe stato fermo a quella fantastica medaglia d’argento.

Alla finale olimpica fecero seguito due cocenti esclusioni dalla Top 8 Europea (fatto piuttosto eclatante, se si considera che tra il 1965 ed il 2003 l’Italia è rimasta fuori dalle prime 8 d’Europa soltanto due volte, nel 1993 e nel 2001) e la beffarda eliminazione agli ottavi di finale del Mondiale 2006 (al quale l’Italia partecipò grazie ad una wild-card).

Il magro periodo 2005-2007 fu solo un’apripista per la catastrofe del biennio successivo quando l’Italia, per la terza volta nella storia e la prima dal 1961, fallì due volte la qualificazione all’Europeo, prima non riuscendo a classificarsi in un girone con Bulgaria ed Ungheria – due squadre che tolsero all’Italia quelle vittorie necessarie per centrare l’obiettivo EuroBasket 2009 – e poi mancando l’ultima chiamata nell’Additional Round contro Francia e Finlandia.

Il fallimento del 2008-09 fu la pietra tombale del (lungo) ciclo di Carlo Recalcati sulla panchina azzurra. Al suo posto venne chiamato, con un contratto part-time, Simone Pianigiani.

Assistente proprio di Recalcati nell’anno del primo scudetto senese, Pianigiani a quei tempi si stava affermando come il front-runner della nuova generazione di allenatori italiani, soprattutto grazie ai due scudetti consecutivi vinti con la Montepaschi, la squadra della sua città.

Il “ciclo Pianigiani” si distingue essenzialmente di due periodi, quello del “part-time” e quello del “full-time”.

Il primo è stato certamente il periodo più difficile del Pianigiani azzurro, probabilmente condizionato anche dal lavoro, durante la stagione, con il club (Siena e Fenerbahce).

Nonostante alcuni timidi segnali incoraggianti rispetto al recente passato, la nazionale si qualificò per l’Europeo lituano soltanto via ripescaggio. Causa anche un girone decisamente complicato, la spedizione in terra baltica si rivelò disastrosa: una sola vittoria (contro la Lettonia) significò la prima eliminazione alla Prima Fase di un Europeo dal 1959.

Europeo di cui ci si ricorda principalmente per questi 100 secondi.

La disfatta lituana rappresentò invece un punto di svolta del ciclo Pianigiani.

Quella sconfitta contro Israele fu seguita da un’incredibile striscia di 13 vittorie consecutive in partite ufficiali: 8 nel girone di qualificazione e 5 incredibili vittorie, su 5 partite, nella prima fase dell’europeo sloveno, tutte nel segno di #SiamoQuesti.

Senza due giocatori chiave come Danilo Gallinari e Andrea Bargnani quella “sporca” dozzina fu capace di entusiasmare i tifosi come non capitava da 9 anni, qualificandosi per i quarti di finale con il miglior record del torneo (6 vittorie e 2 sconfitte).

Dopo i primi tre periodi del quarto contro la Lituania, squadra dotata di rotazioni decisamente più lunghe e fisiche rispetto a quelle degli azzurri, un brutto ultimo periodo condannò l’Italia agli spareggi per il quinto posto, utili per centrare la qualificazione al mondiale 2014.

Obiettivo che fu però fallito dagli azzurri, causa due sconfitte in fila (dovute anche alla stanchezza e ai ritmi frenetici della manifestazione) contro Ucraina e Serbia.

Nonostante il ritorno nella top 8 continentale per la prima volta dal 2003, l’Italia fu condannata nuovamente al limbo delle qualificazioni europee, fase passata abbastanza agevolmente grazie ad un convincente girone eliminatorio con Russia e Svizzera.

Dopo la “gavetta” degli anni precedenti, l’Italbasket arrivò all’Europeo 2015 con la migliore squadra possibile, data anche la disponibilità dei “quattro alfieri“ NBA: Bargnani, Belinelli, Datome e Gallinari.

È la migliore nazionale di sempre. L’unico obiettivo è Rio 2016.

Gianni Petrucci – Luglio 2015

Dopo un inizio stentato, segnato dalla sconfitta di misura contro la Turchia e dalla vittoria sofferta contro l’Islanda, l’Italia reagì conquistando due fondamentali vittorie contro Spagna e Germania, decisive ai fini della qualificazione.

Passato agevolmente l’ostacolo Israele agli ottavi, ai quarti di finale si ripropose lo scontro contro la Lituania per un posto non solo in semifinale, ma utile per continuare ad inseguire il sogno olimpico.

Una gara combattuta, con l’Italia che ha avuto in mano la palla per vincere all’ultimo tiro, persa poi al supplementare contro una Lituania più lucida nell’eseguire in attacco e in difesa.

Nonostante l’ennesima delusione, gli Azzurri si riscattarono qualificandosi al Preolimpico con una netta vittoria sulla Repubblica Ceca e mantenendo vivo il “sogno Rio”.

Al di la di tutto, un risultato meritato e giusto per una squadra finalmente pronta allo step successivo: consolidarsi ad alto livello, magari anche grazie alla partecipazione alle Olimpiadi, per tornare ad essere una delle nazionali “guida“ del panorama europeo, approfittando anche di una generazione di giocatori particolarmente talentuosa.

Alla programmazione sul medio-lungo periodo, la Federazione preferisce giocarsi un “all-in“: per una “scintilla mai scoccata“ Petrucci decide, in una mossa più politica che sensata, di sollevare Pianigiani dall’incarico di CT della Nazionale, lasciandogli però la supervisione tecnica, cioè un ibrido privo di senso.

Infatti è assai improbabile che Pianigiani resti a lungo in questo ruolo di “supervisore“, viste anche le sirene provenienti da squadre di Eurolega (ad esempio il Maccabi Tel Aviv o l’Olimpia Milano).

Andando contro il suo dogma sugli incarichi part-time, e dopo aver riconosciuto l’ottimo lavoro a 360 gradi del Pianigiani “100% azzurro“, Petrucci fa il passo del gambero e consegna la guida della Nazionale a Ettore Messina, sicuramente il miglior allenatore italiano degli ultimi 20 anni, probabilmente uno dei migliori allenatori europei di sempre.

Quello di Messina in Nazionale è un ritorno, ma sarà essenzialmente un cameo: l’incarico part-time, resosi obbligato dagli impegni dell’ex coach del CSKA, dovrà coinciliarsi con il ruolo di Assistant Coach dei San Antonio Spurs. Nel caso (sicuramente non improbabile) che gli Spurs facciano strada nei Playoff NBA la prossima primavera, Messina potrebbe non essere disponibile prima di fine giugno, con il Preolimpico che prenderà il via il 4 luglio.

Come se non bastasse, l’incarico di Messina è solo per quest’estate, e ancora non si ha la benchè minima idea di chi guiderà l’Italia all’Europeo 2017 (e verosimilmente non si saprà prima di fine agosto-inizio settembre). E di certo il futuro CT non sarà Messina, che mai riuncerebbe alla concreta possibilità (magari proprio dalla prossima stagione) di diventare il primo Head Coach europeo della storia NBA.

Il caos tecnico, politico e organizzativo che tende a regnare alla base della Nazionale italiana non è solo che un esempio dell’inarrestabile declino del basket italiano.


Un trono senza Re

La Fortitudo Bologna festeggia lo scudetto 2004-05. Oggi la F, dopo un decennio decisamente travagliato, gioca in serie A2.

Il massimo campionato italiano nel 2004-05 era, probabilmente, al vertice dei campionati europei: in ognuna delle tre precedenti Final Four di Eurolega l’Italia era stata rappresentata da due squadre.

Virtus Bologna e Benetton Treviso nel 2002, Treviso e Montepaschi Siena nel 2003, Siena e Fortitudo Bologna nel 2004. Il tutto in aggiunta alla Virtus campione d’Europa nel 1998 e nel 2001.

Di queste quattro squadre oggi solo la Virtus Bologna gioca in Serie A, dopo esserci tornata 10 anni fa in seguito al suo fallimento causato dal “Lodo Becirovic“. Fallimento che è stato il destino, per diverse ragioni, anche di Siena, Treviso e Fortitudo.

Delle otto squadre qualificate ai playoff 2004-05 solo Milano e Cantù oggi giocano in Serie A e, in questo arco temporale, non sono mai retrocesse. Estendendo questo dato a tutte le 18 squadre che formavano il massimo campionato 11 anni fa, solo le due lombarde ed Avellino hanno giocato (e stanno giocando) tutte le ultime dodici stagioni di Serie A.

Escludendo Milano, sempre qualificatasi ai playoff nelle ultime undici stagioni, Cantù ed Avellino insieme combinano per 11 playoff disputati in tutto (9 i brianzoli, 2 gli irpini); di queste partecipazioni alla post season, soltanto quattro volte una delle due squadre è andata oltre l’ostacolo dei quarti di finale (Cantù due semifinali e la finale 2011, Avellino semifinale 2008).

Nelle ultime dodici stagioni (considerando anche l’attuale stagione), ben 33 squadre hanno giocato almeno una stagione di Serie A, con sole 13 retrocessioni “sul campo“. Di queste 33 squadre, ben 12 hanno dichiarato fallimento o sono state retrocesse/non ammesse al campionato. Un totale che non ha paragoni con le altre leghe Europee.

Nonostante facce nuove come Sassari, Brindisi, Cremona, Trento e Capo d’Orlando o ritorni storici come Venezia, Torino e Caserta abbiano portato entusiasmo, passione e anche risultati (esclusa Torino, fresca neopromossa, tutte queste squadre hanno giocato almeno una volta i Playoff o le Final Eight di Coppa Italia; inoltre Sassari è detentrice di Scudetto e Coppa Italia), i fallimenti economici e amministrativi del basket italiano e la caduta delle storiche squadre blasonate hanno certamente contribuito alla perdita di appeal e reputazione della nostra pallacanestro.

Degli ultimi 20 titoli, solo 5 (tra cui gli ultimi due) sono stati vinti da una squadra che oggi gioca in Serie A.

La Dinamo Sassari ha vinto lo scudetto 2014-15 alla sua quinta stagione in Serie A.

Vedi l’Europa e poi muori

Dal 2004, ben 20 squadre italiane hanno giocato almeno una competizione europea. Un numero che assume maggiore rilevanza se si considera che, per esempio, nello stesso periodo la Spagna ha qualificato in Europa 15 squadre diverse.

Undici di queste venti, più della metà sono fallite e/o sono retrocesse dalla Serie A nelle ultime dodici stagioni.

Nessuna delle tre squadre citate prima (Milano, Cantù, Avellino) ha un record positivo in gare europee nelle ultime dodici stagioni.

Delle prime 7 squadre per record di vittorie/sconfitte internazionali negli ultimi 11 anni, soltanto una (la Virtus Bologna, seconda pari merito col 58,7%) non è mai retrocessa (sul campo o non) nelle ultime dodici stagioni.

Quattro dei migliori 7 record (i primi due -Siena e Treviso-, Fortitudo Bologna e Pesaro) sono ad appannaggio di squadre fallite o retrocesse “non sul campo“.

Tra le otto squadre italiane che disputano competizioni europee in questa stagione, soltanto Reggio Emilia ha, in questo momento, un record positivo. Due delle otto (Venezia e Trento) sono debuttanti, ed un’altra (Brindisi) ha iniziato la stagione con record positivo (ma ha perso le prime cinque partite del girone di Eurocup).

Solo Avellino, tra le squadre italiane che hanno giocato almeno dieci gare europee nelle ultime dodici stagioni, ha un record peggiore delle due rappresentanti italiane nell’Eurolega 2015/16: Milano (seconda solo a Siena per numero di partite giocate con 143, ma con un record del 37,8%) e Sassari (che fa ancora peggio con un misero 33,3%, nel quale incide pesantemente l’1-14 collezionato in una stagione e mezza di Eurolega).

Dopo aver avuto quattro squadre diverse rappresentanti l’Italia alle Final Four di Eurolega per tre anni consecutivi, solo quattro squadre italiane in tutto hanno disputato la fase finale di una competizione europea nelle ultime undici stagioni. Due di loro hanno poi vinto la competizione (Virtus Bologna e Reggio Emilia, entrambe in EuroChallenge), le altre due oggi giocano in Serie A2 con denominazioni diverse (Siena, due volte terza in Eurolega, e Treviso, due volte alle Final Eight/Four di Eurocup).

Montepaschi Siena – Real Madrid della Final Four di Barcellona 2011, l’ultima fase finale di Eurolega disputata da una squadra italiana.

Tutti questi fattori, insieme a molti altri (che approfondirò dopo), hanno giocato un ruolo importantissimo nel calo del contingente italiano in Eurolega: se appena 5 anni fa (2010/11) le rappresentanti italiane nella “Champions dei canestri” erano ben quattro, oggi c’è la concreta possibilità che nella prossima stagione l’Italia sia rappresentata dalla sola Olimpia Milano, a prescindere da chi vincerà il prossimo scudetto.

La perdita delle squadre blasonate e l’essere rappresentati in Europa da squadre inadatte, sta danneggiando la reputazione del nostro basket, anche perchè parliamo di un qualcosa maggiormente visibile rispetto a dinamiche politico-organizzative.

Il fattore economico, sicuramente a vantaggio di squadre più ricche come le turche o le russe, non deve diventare l’alibi di ferro: con l’organizzazione e la progettazione si possono costruire solide realtà. La stessa Sassari è un esempio ampiamente positivo in Italia, nonostante le difficoltà riscontrate dal suo roster in campo europeo.

Nuove realtà come Trento, capaci di rinnovarsi sapientemente ogni anno e di non sfigurare affatto in campo europeo (attualmente, con cinque partite giocate, i trentini hanno il miglior record percentuale tra le squadre italiane in Europa nelle ultime dodici stagioni, il che è parecchio indicativo dell’andamento complessivo italiano) non possono e non devono essere eccezioni, ma la regola.

Abbiamo visto come il presente tenda ad essere parecchio buio, con l’eccezione di poche -fioche- luci. Allo stesso modo è difficile definire come radioso i segnali che arrivano e che riguardano il futuro.


Young Blood

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Gli azzurrini campioni d’Europa Under 20 nel 2013
Quella attuale probabilmente non è la Nazionale più forte di tutti i tempi.

Non è però azzardato definirla come una delle più talentuose (forse la): giocatori come i tre ragazzi “americani” o come Datome, Gentile, Hackett (e questo Melli “tedesco”), in grado di recitare ruoli da assoluti protagonisti sui più importanti palcoscenici d’Europa rappresentano una generazione “fortunata” del basket italiano.

Questi ragazzi (insieme agli Aradori o Vitali della situazione) hanno dietro di loro un ricambio di talento, per un prossimo futuro, paragonabile?

Negli ultimi dieci anni l’andamento delle nazionali giovanili italiane è stato piuttosto ondivago.

Prendendo ad esempio la nazionale “leader” del settore giovanile, l’Under 20, notiamo come nella seconda metà dello scorso decennio si è assistito ad una solida continuità di risultati (mai fuori dalle prime 8 in cinque edizioni, con tre piazzamenti in top 4 ed una medaglia di bronzo) e contemporaneamente alla produzione di elementi “da nazionale” (dei 16 del listone “Europeo”, in 6 han giocato almeno un europeo giovanile nel periodo 2005-2009).

Nonostante la continuità tecnica assicurata dalla guida costante di Stefano Sacripanti, nel decennio in corso c’è stato un andamento piuttosto ondivago di risultati, tra picchi (l’argento 2011 dei Melli, Polonara, Gentile e Cervi o l’oro 2013 del Della Valle MVP) e bassi fondi (nelle altre quattro edizioni mai tra le prime otto, con tre decimi posti ed un nono posto).

Estendendo lo sguardo alle altre due rappresentative, l’Under 18 e l’Under 16, la situazione tende ad essere più desolante.

L’Under 18, nonostante il picco dello storico trionfo di Mannheim due anni fa, non arriva sul podio continentale dall’Europeo 2005, mentre l’Under 16 negli ultimi 10 anni non è andata oltre il quarto posto, raggiunto due volte nel biennio 2012-2013.

La continuità tecnica regna sovrana anche nelle giovanili “più piccole“, anche se i risultati non sono tali da giustificare ottimismi. Anche perchè, per entrambe le due nazionali, la tendenza è leggermente negativa.

L’impressione è che il panorama italiano sia in grado di sfornare più “picchi” di qualità (vien da pensare a nomi tipo La Torre, Mussini, il recente MVP dell’All Star Game FIBA Under 18 Leonardo Totè) che potrebbero rivelarsi le stelle della Nazionale del futuro.

È tutto da dimostrare però che oltre a questi talenti si vengano a formare un nutrito numero di buoni giocatori, capaci anche in futuro di alzare il livello medio del campionato italiano senza essere “difesi” e “assicurati” da norme protezionistiche, regole che indichino “l’obbligo“ di avere giocatori italiani.

Proprio alcune regole potrebbero anche essere indentificabili come co-responsabili di questo status decadente.


Nicchia per pochi

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Il caloroso (ma piccolo) PalaBigi di Reggio Emilia, teatro della decisiva Gara 7 delle scorse Finali Scudetto.
Una delle eredità più significative dell’ultimo Europeo è sicuramente identificabile con l’entusiasmo che si è respirato intorno alla Nazionale.

Un seguito che non si è visto poi così tanto spesso negli ultimi 10 anni.

Mi piace pensare che le avventure di Berlino e Lille abbiano conquistato nuovi appassionati.

Una cosa migliorata rispetto al passato è la copertura che in Italia viene mediamente data alla pallacanestro, sia sul piano televisivo (penso che il ritorno di Sky nel campionato italiano stimolerà la produzione Rai ad aumentare la qualità della propria copertura) che sul piano dei “nuovi media”.

Un nativo digitale italiano può districarsi tra una varietà di opzioni essenzialmente “Made in Italy” per parlare, pensare e respirare basket durante la giornata, da Cultura Cestistica a Spazio NBA, da La Giornata Tipo al Buzzer Beater Blog, dall’Ultimo Uomo a Crampi Sportivi o a un podcast come Ball don’t Lie: l’offerta è sicuramente ampia e concede all’“utente” di potere scegliere anche e soprattutto al proprio concetto e alla propria considerazione di qualità, un lusso che non è così scontato, anche quando si parla di voler “conoscere” uno sport.

Se un potenziale appassionato di basket ha quindi nutrite possibilità per seguire in TV o su internet la pallacanestro italiana (e non), tende più complicato e meno attraente avvicinarsi al “basket dal vivo”.

Escludendo restaurazioni ed ampliamenti, principalmente svolti per avvicinarsi alle regole minime di capienza (3500 posti in Serie A, 5500 circa posti per una deroga in Eurolega), il Palasport più recente e moderno tra quelli delle squadre del massimo campionato è quello di Trento, risalente al 2000, condiviso con l’Itas di pallavolo, una delle squadre più blasonate degli ultimi anni.

Ad onor del vero, il PalaFantozzi di Capo d’Orlando risulta più recente del PalaTrento (2001), ma in questo caso parliamo di una tensostruttura da 3508 posti sull’unghio, spesso pieni nonostante si trovi in un paesino di 13mila abitanti.

La ridotta capienza dei Palasport italiani (ad oggi solo Milano e Pesaro raggiungono le 5 cifre in termini di capienza) sicuramente contribuisce in positivo alla “calorosità” dei pubblici casalinghi, ma certamente non rappresenta una fonte di reddito importante per un ambiente dove, per citare parole di dirigenti federali, “è fisiologico il ritardo di qualche mese nel pagamento degli stipendi”.

Se in un periodo d’incertezza economica è tendenzialmente difficile trovare sponsorizzazioni di rilievo, assume molta più importanza la capacità di trovare altri introiti.

Palazzetti più capienti e moderni possono significare un aumento di pubblico (spinto anche a spendere tendenzialmente di più nel merchandising, ambito nel quale solo di recente la media delle squadre italiane ha iniziato ad investire bene e con visione), quindi un aumento degli introiti.

Nella scorsa stagione la Serie A ha registrato una media di spettatori in Regular Season pari a 3934 unità, con un incasso medio per partita di poco più di 42mila euro.

Per avere un riferimento immediato, la media spettatori della Liga ACB 2014-15 è di circa 6200 unità.

L’incassare una media di 630mila euro in una stagione dal botteghino rappresenta un’occasione persa dalle squadre italiane.

Inoltre, le ridotte capienze comporta che nel caso delle squadre seguite con più passione (mi vien da pensare a Reggio Emilia, Pistoia e Brindisi) la maggior parte dei posti venga occupata in fase di campagna abbonamenti.

L’investimento nell’impiantistica deve andare oltre il “facciamo il numero di posti minimi per giocare la Serie A o le Coppe Europee”, mentalità che anche per necessità (ed incapacità di coprire le spese di costruzioni più ambiziose) domina nel management delle squadre italiane.

C’è fame di basket nel nostro paese, è il momento di invertire la rotta e prendere coraggio.

Programmiamo, sperimentiamo e innoviamo il nostro prodotto, è l’unica via.

Non fuggiamo i problemi (consiglio a proposito l’ottimo pezzo di Francesco Anichini per l’Ultimo Uomo sul caso Siena), impariamo dai tanti errori per non commetterne più.

Umiltà e coraggio. Non arroganza e caos.

Siamo Questi. Accettiamolo e invertiamo la rotta.