(Profile written as an Assignment for a University of Westminster course; ITALIAN VERSION BELOW)
“Passion for Football is a 33% of my job; another 33% is represented by the passion for writing and a final 33% reserved to the love for travelling. I would dedicate the 1% left to ego.”
“I started as a contributor at ‘Piccolo’ covering amateur football”, Condò said, “and due to my results I was hired. Two years later ‘Gazzetta’ phoned, because they noticed me, and I moved to Milano.”
“nothing compares to a far journey, with the ‘safeness’ of a famous newspaper with you, but the necessity of dealing alone, on the field, with everything. Life and careers are made by different phases: fortune is determined by doing the right thing at the right time. It has happened to me, and if today I am a reliable journalist is because the audience feels in my opinions the echo of my experiences.”
“An indelible ‘patriotic’ memory was the Euro 2000 semi-final between Italy and Netherland, ended at penalties after an unbelievable match. On a historical point of view, I can say that ‘I was there’ for the stunning German win against Brazil in the 2014 World Cup.”
“Nostalgia is part of life, but I try to deal with that on my personal own. For example”, Condò said, “think about admiring a view: after a while there will always be someone saying ‘nice, isn’t it? You should have seen that twenty years ago!’ I think that this represent an unconscious regret of our own youth, because maybe two decades ago the view was the same, but our eyes were better.”
“Returning to football, I still consider Passion as the main engine that thrives through people, even if today’s football is the first global industry, a sector that provides jobs for millions of people. Everything begins from Passion, still today.”
“I’m happy to be on Twitter and so far I have encountered few and negligible insults. I consider”, Condò said, “Social Network as inalienable for a journalist, because they’re a first source of information. Confrontation with your followers is vital, because it often happens that someone knows more than you on a specific topic.”
“For example, you can be an expert of international football in general, but on the Socials you can meet someone who knows everything about Uzbekistan football, and on this topic you can only learn from him. Besides that, Twitter mirrors exactly your audience: it’s vital that the media, just like any other companies, knows their clients, even if it’s just to know what they’re interested into.”
“Media evolution has profoundly changed our MO. It’s important to maintain your moral principles, but the techniques have changed. It’s not casual that after 34 years in a newspaper I switched to television. An example of the change of the ‘mediatise’ football could be seen in my personal experience: I’m friend to several football managers and until few months ago I was always the one to call them on the phone. Since I work on television it has happened that they are the one to call me.”
“Journalism’s world today is a difficult one. In my opinion, this work still makes sense if you approach it in a ‘old way’: travelling, reportage, months away from home pursuing a story or an interview.”
“However, I am like a protected species in danger of extinction, it is really difficult to pay off a career like this. I wouldn’t recommend my sons a career in Sports Journalism, because today’s ‘new wave’ enters after infinite apprenticeship, in newspapers with reduced costs and salaries, with few travelling opportunities.”
“But still, if one of my sons showed some talent and a remarkable passion I would indulge him into following a ‘freelance’ career: low cost travelling, investigating, discovering, writing or filming, selling on the international market rather than the Italian one, too small nowadays. It is a really difficult job, to which you have to be prepared (knowing different languages, having a broad knowledge, specializing deeply and being highly competitive). If someone would remove thirty-five years of my life and I would have to start over again, it’s definitely what I would do.”
Sono un giornalista sportivo di (quasi) 57 anni. Dopo 3 anni al Piccolo di Trieste e 31 alla Gazzetta dello Sport, da agosto lavoro come talent a Sky Sport. Sono un privilegiato: ho potuto fare della mia passione il lavoro della vita.
La genesi è stata relativamente semplice: cominciai a collaborare col Piccolo seguendo partite di calcio dilettantistiche, e siccome i risultati erano positivi nel giro di un anno – dopo aver coperto servizi sempre più impegnativi – venni assunto col fatidico articolo 18. Quasi due anni da giornalista praticante, l’esame di Stato superato, la telefonata della Gazzetta che mi aveva “notato”: da lì il trasferimento a Milano e tutto ciò che ne è conseguito.
Direi che la passione per il calcio valga il primo 33 per cento. Il secondo è la passione per la scrittura, il terzo per i viaggi. Avanza l’1 per cento che dedicherei all’ego.
Vite e carriere sono composte da diverse stagioni, la fortuna è poterle mettere in fila in modo coerente facendo le cose giuste al momento giusto. A me è successo, e se oggi sono un volto televisivo del quale la gente sembra fidarsi è perché avverte nelle mie opinioni l’eco di esperienze vissute. Parlando soltanto del puro piacere personale, nulla vale un bel viaggio in Paesi lontani, con la forza di un grande giornale alle spalle ma la necessità di cavarsela da solo sul campo.
Ci sono molti tipi di emozione. Se il senso della domanda riguarda il patriottismo, direi che la semifinale di Euro 2000 fra Olanda e Italia, nella quale prevalemmo ai rigori dopo uno svolgimento del match molto rocambolesco, sia un ricordo indelebile. Dal punto di vista storico, credo che dell’1-7 della semifinale mondiale fra Brasile e Germania si parlerà ancora fra cent’anni, e io c’ero. Ma su questo tema potremmo davvero far notte.
La nostalgia fa parte della vita, ma io cerco di coltivarla il più possibile nell’intimità, senza farla pesare a chi mi sta attorno (famiglia, colleghi). Qualsiasi panorama meraviglioso vi troviate ad ammirare, dopo un po’ verrà sempre uno a dirvi “bello, eh? Avresti dovuto vederlo vent’anni fa”: è un modo per difendere un senso di esclusiva, e in molti casi un inconsapevole rimpianto della propria giovinezza. Perché magari vent’anni fa il panorama era lo stesso, ma gli occhi che lo guardavano vedevano meglio.
Nessun bambino che inizia a giocare a calcio lo fa pensando ai soldi che potrebbe guadagnare. Questo significa che la passione è sempre il motore d’avviamento: è chiaro però che se un mondo in cui campano mille persone diventa la prima industria mondiale, dando da mangiare a milioni e milioni di addetti, le cose cambiano. E dal secondo ruggito del motore, altroché se sono cambiate. Ma dal secondo. Il primo, quello da cui tutto nasce, resta la passione.
Direi di no. Anzi, vedo una certa tolleranza dei tifosi verso i propri club economicamente in difficoltà che un tempo non mi sarei aspettato.
Naturalmente sì, sarebbe sciocco il contrario. E’ giusto mantenere i propri principi morali, ma la tecnica cambia col passare del tempo. Tecnica e mezzo d’espressione: non è casuale il fatto che dopo 34 anni di carta stampata abbia deciso di passare alla televisione.
Sono su twitter con discreto divertimento, anche perché sin qui sono stato fortunato: gli insulti – che fanno parte dei possibili effetti collaterali – arrivano in misura davvero trascurabile.
Dal punto di vista giornalistico trovo i social irrinunciabili, le informazioni passano di lì come prima cosa. E il confronto con chi ti segue è prezioso, perché capita frequentemente chi ne sa più di te su uno specifico tema. Tu magari sei un ottimo esperto di calcio internazionale in generale: ma in rete c’è chi è assai più preparato sul calcio uzbeko, e da lui – sul tema del calcio uzbeko – hai soltanto da imparare.
Inoltre, Twitter rappresenta abbastanza fedelmente il pubblico al quale ti rivolgi, su un giornale o in tv o su internet: ed è giusto che anche i media, come le altre imprese, conoscano i propri clienti. Non necessariamente per dar loro ragione, ma per sapere cosa interessa loro e cosa no.
Sono amico di molti allenatori, ma fino a qualche mese fa li chiamavo sempre io. Da quando lavoro in tv, è capitato che siano loro a chiamare. Molto istruttivo.
Inutile nascondere che la situazione dell’editoria sia molto difficile, specie paragonandola con quella dei miei inizi. Secondo me questo lavoro ha un senso se riesci a declinarlo alla mia maniera: viaggi, reportage, mesi lontano da casa inseguendo una notizia o un’intervista.
Ma io sono un dinosauro in via d’estinzione, non ci sono più i soldi per finanziare carriere del genere, da nessuna parte. In linea generale quindi non consiglierei ai miei figli la professione di giornalista sportivo, perché i ragazzi che entrano adesso dopo lunghissime anticamere lo fanno in giornali dove i costi sono stati tagliati e le opportunità di viaggiare sono ridottissime. E fra topo di redazione e topo d’ufficio, il secondo ha orari molto migliori.
Se però uno dei miei figli mostrasse un talento e una passione davvero smisurati, allora lo asseconderei – anche economicamente, fin dove è possibile – e gli direi di fare il free-lance: viaggiare (ovviamente low cost), indagare, scoprire, scrivere o filmare, vendere sul mercato internazionale, perché quello italiano è troppo piccolo.
È un’impresa difficilissima, alla quale si deve arrivare armati fino ai denti (lingue straniere, cultura generale, specializzazioni profonde, competitività a mille): ma se mi togliessero 35 anni e dovessi ricominciare da zero, è quello che farei.