Come migliorare il calcio italiano (rimanendo con 20 squadre in Serie A)

ORGANIZZAZIONE CAMPIONATO

  • Serie A e Serie B gestite insieme, da stesso ente
  • Entrambe le leghe a 20 squadre, inizio e fine in stessa data (la B gioca durante la pausa per Nazionali e non ha turni infrasettimanali)
  • 2 retrocessioni in B e 2 promozioni in A, a meno che tra 17° e 18° di A ci siano più di 6 punti di distacco: se è così, retrocedono le ultime 3 e salgono in A le prime 3 della B. Così facendo si garantisce che le ultime 3 giochino fino alla fine e puntino a fare più punti possibile.
  • Se non c’é distanza di punti, playoff incrociati tra A e B -> da 16° a 19° di A giocano partite di andata e ritorno nel giro di due settimane, la squadra che rimane gioca spareggio in Gara secca contro la vincente dei playoff tra le squadre da 2° a 5° posto in B. La “finale” si gioca in casa della squadra di B.
  • Paracadute esiste, ma parte da quota minima fissa, cui si aggiungono bonus che dipendono da utilizzo giovani (a prescindere da nazionalità), rispetto di parametri economici, affluenza stadio (conviene avere lo stadio pieno). Insomma, chi gioca “a perdere” per intascare paracadute fine a se stesso, intasca due lire (ergo gioco non vale la candela).

COPERTURA MEDIATICA

  • In TV vanno fino a un massimo di 6 partite per turno (mai due partite in contemporanea nello stesso orario in TV).
  • Tutte le squadre devono andare in TV per almeno 10 partite e non più di 30/31.
  • Calendario partite “televisive” viene reso noto all’inizio di entrambi i gironi (andata&ritorno)
  • Le altre 4 (minimo) partite per turno vengono trasmesse solo nella provincia della squadra in trasferta, in luoghi di aggregazione (cinema, pub, stadio delle squadre…).
    Così diritti TV aumentano di valore e prodotto aumenta di interesse.
  • La finale dei playoff incrociati viene trasmessa in chiaro.

(NON) È SEMPRE CALCIOMERCATO

  • Calciomercato che si chiude come la Premier (giovedì prima della prima giornata di campionato).
  • NO a Gennaio con unica eccezione che squadre hanno a disposizione max 2 nuovi tesseramenti per sostituire infortunati lungo-degenti (almeno 3 mesi di stop).

GARANZIE

  • Seri regolamenti economici
  • No ripescaggi, al massimo si aumentano promozioni
  • Incentivi economici (maggior quota diritti TV, ad esempio) a chi ha stadio di proprietà, minutaggio giovani (U23, a prescindere da nazionalità: gioca chi è bravo), solido progetto economico verificato da organi indipendenti
  • SI al VAR, SI al tempo interrotto durante una VAR Review (quindi non si crea problema di maxi recuperi), SI a una chiamata VAR a squadra (ma in casi più circoscritti, richiesta va fatta a quarto uomo)

NON C’È SOLO IL CAMPIONATO — COPPA ITALIA & SUPERCOPPA (da proposta per #stocalcio di Vox2Box)

Capitolo Coppa Italia

  • In totale si iscrivono 136 squadre tra A, B, Lega Pro, Dilettanti (NO squadre B)
  • Lega Pro e Dilettanti, per un totale di 96 squadre iniziali, disputano due turni preliminari per ridursi a 24. Dal terzo turno entrano in gioco le 20 di A e le 20 di B.
  • Sorteggio Integrale, chiunque può capitare con chiunque
  • Per ospitare partita in casa stadio deve avere minimo 3,500 posti agibili, se no si gioca in stadio più vicino
  • Terzo turno (primo con A e B) si gioca il primo weekend di Gennaio (campionati A e B si fermano)
  • Sedicesimi, Ottavi e Quarti si giocano in weekend di pausa campionato di A e Sedicesimi+Ottavi si giocano in weekend di pausa campionato di B
  • Semifinali e Finale in campo neutro deciso a inizio stagione (Semifinali stadio da min. 40.000 posti; finale in stadio da minimo 50.000; si ruota ogni anno)

Capitolo Supercoppa Italiana

  • Torneo a 4 squadre “Final Four” con vincitrice Serie A, vincitrice Serie B, vincitrice Coppa Italia e detentrice del trofeo. Si gioca all’estero a inizio stagione.
  • Se squadre coincidono si attinge a classifica Serie A (finalista Coppa Italia, finalista Supercoppa anno precedente o prima squadra “disponibile” in Serie A). Ad esempio quest’anno avrebbero giocato: Juventus, Lazio, Milan, Spal.
  • Trasmesso in chiaro.

Un (av)Ventura di ottimismo smodato

“Per la Nazionale azzurra che verrà Carlo Tavecchio ha scelto non un nome ad effetto ma un maestro di pallone, che sa valorizzare i giovani. Una decisione in controtendenza se si considerano gli ultimi allenatori: Sacchi, Trapattoni, Lippi e lo stesso Conte.”

Prendo l’incipit del pezzo del Fatto Quotidiano per riassumere, in maniera sintetica, ciò che si dice di Giampiero Ventura, futuro CT della Nazionale Italiana, l’uomo cui saranno affidate le speranze di qualificazione a Russia 2018 ed evitare un’esclusione, la prima in 60 anni (da Svezia 1958), qualcosa che rappresenterebbe l’anno zero del calcio italiano (che già viene da due eliminazioni ai gironi in Sudafrica e Brasile).

Ventura, che nelle ultime 5 stagioni è stato l’allenatore del rilancio del Torino a livelli medio-alti, è considerabile come il classico “mister di provincia”: gavetta lunghissima (ha allenato ovunque, dall’Interregionale alla A), esoneri e subentri, palmares fatto esclusivamente da promozioni, ridottissima esperienza internazionale.

Non nascondo di essere assolutamente contrario alla scelta di Ventura come CT, nonostante questa sia stata agevolata da una concorrenza quantomeno flebile (Montella sarebbe stato, specie alla luce di questa stagione, ancor più inspiegabile). Ma voglio cercare di dimostrare la mia contrarietà in maniera oggettiva, qualcosa di raro nel paese dei “60 milioni di CT”. Non perché credo di essere competente (anzi), ma perché mi piace una dimensione in cui gli avvenimenti sportivi si analizzano in maniera asettica, lasciando le pomposità retoriche a ciò che è extra-cronaca.

Carlo Tavecchio, presidente FIGC, ha definito Ventura un Maestro di Calcio.

Nel calcio la definizione Maestro è utilizzata spesso per un futuro ‘collega’ di Ventura: il quasi coetaneo (è nato 10 mesi prima) Oscar Washington Tabarez, che il 29 marzo scorso è diventato il CT più longevo della storia del calcio mondiale.

Tabarez è chiamato Maestro anche (e soprattutto) per la sua precedente esperienza di insegnante di scuola, affiancata all’attività di allenatore nei primissimi anni della sua carriera.

In Ventura si possono riscontrare alcune affinità con l’ex allenatore di Cagliari, Milan e Boca Juniors: entrambi nascono come calciatori (Tabarez era un terzino, Ventura un centrocampista), entrambi abbandonano la carriera agonistica dopo risultati modesti e entrambi iniziano ad allenare nello stesso anno: il 1980.

Lì i percorsi differiscono: nel suo primo decennio da allenatore Tabarez può vantare addirittura una Copa Libertadores (Peñarol 1987, l’ultima conquistata da un club uruguayo), un’esperienza all’estero (Deportivo Cali) e l’aver allenato ad un Mondiale (Italia 1990); Ventura, invece, fa più fatica ad emergere.

Dopo 5 anni divisi fra i dilettanti liguri, la prima ‘occasione’ arriva prima con lo Spezia, sulla soglia dei 40 anni, dove dura 12 partite (con una sola vittoria), e poi con la Centese, dove disputa un biennio in C1 culminato con una retrocessione.

Il suo debutto in B avviene a 46 anni, quando viene chiamato da Maurizio Zamparini sulla panchina del Venezia. Come spesso accade con Mr Z, il primo anno di B del nostro non è intero, in quanto si alterna con Luigi Maifredi e Gabriele Geretto ad un anonimo 9° posto, arricchito dagli 11 gol di un giovanissimo Christian Vieri.

Venezia non è un’esperienza fortunata, ma è il trampolino di lancio.

Seguono, infatti, una doppia promozione, in due anni, dalla C1 alla A col Lecce e un’altra promozione in A col Cagliari, col quale disputa il suo primo campionato in massima serie a 50 anni, nel 1998-1999. I sardi finirono tredicesimi, e Ventura dovrà aspettare il 2010 per disputare un’altra stagione completa in serie A, con quel Bari ereditato da Antonio Conte di cui si è tanto discusso negli ultimi giorni.

In mezzo, tanti subentri (Udinese, Messina, Verona), tanta serie B (Sampdoria, Cagliari e Pisa), e la promozione in B mancata col Napoli nel primo anno della gestione De Laurentiis.

A Bari Ventura registra un onorevole 10° posto ed una amara retrocessione l’anno dopo, preludio al quinquennio granata in cui raggiungerà un 7° posto, il suo career best in A, valido per l’unica qualificazione alle Coppe Europee della sua carriera (porterà il Torino fino agli ottavi di finale, vincendo 8 partite sulle 14 giocate in Europa) grazie anche alla mancata licenza Uefa al Parma, preludio al fallimento ducale.

Le 14 partite di quell’Europa League 2014-15 rappresentano l’unica esperienza internazionale del nuovo CT azzurro, un campione poco identificativo.

Tavecchio ha definito Ventura come uno che ha insegnato a tanti allenatori le sue regole innovative (affermazione tirata nel mezzo, difficilmente verificabile nei fatti reali) e come uno che ha lanciato un sacco di giocatori da nazionale.

Andiamo a vedere chi sono i giocatori “lanciati” da Ventura.

Possiamo considerare come primo esempio, pur forzato, quello di Vieri, avuto ad intermittenza nell’anno di Venezia; anche se è decisamente una forzatura definire Ventura come l’allenatore che ha lanciato Vieri nel calcio italiano.

Considerando le due esperienze più felici di Cagliari e Lecce, l’unico giocatore avuto da Ventura che ha poi avuto un’esperienza in Nazionale è stato Bernardo Corradi. Che, nell’anno della promozione in A, vide il campo per ben due volte.

Nessuna traccia di giocatori da Nazionale A nemmeno nella rosa avuta da Ventura alla Samp, quando invece all’Udinese ebbe sì due futuri nazionali come De Sanctis e Iaquinta, che però debuttarono in azzurro anni dopo essere stati alle dipendenze del mister ligure.

Il primo giocatore ad aver debuttato in Nazionale entro 12 mesi dall’aver avuto Ventura come allenatore è Mauro Esposito, in una stagione dove però Ventura fu esonerato alla sedicesima giornata.

A Napoli Ventura allenò un giovane Ignazio Abate, che però debutterà in Nazionale sei anni dopo.

Nulla da segnalare a Verona, mentre a Pisa nasce la liason con Alessio Cerci, che Ventura ha indicato come uno dei suoi 11 “potenziali azzurri” in un’intervista fatta a marzo con Sky. Cerci debutterà si in Nazionale grazie a Ventura, ma a 26 anni.

Passando al Bari, sappiamo tutto della coppia Bonucci-Ranocchia: entrambi esordirono in nazionale grazie alla bella stagione giocata in Puglia alle dipendenze di Ventura, prima di passare rispettivamente a Juventus e Inter.

Venendo poi al Torino, i nomi ci sono stati ripetuti spesso di recente: Ogbonna, Immobile, Darmian fino ai più recenti Baselli, Benassi e Zappacosta.

Escludendo Bonucci e Ranocchia, che sono stati allenati da Ventura per una sola stagione, sommando le presenze in Nazionale di Esposito, Cerci, Ogbonna, Immobile, Darmian, Baselli, Benassi e Zappacosta si arriva a 54 partite. Meno delle 57 disputate, ad oggi, dal solo Bonucci. Ben lontane dal rappresentare un “solido apporto storico alla Nazionale Italiana”.

Ciò che ho letto e sentito poco in giro è il fatto che Ventura, negli anni, abbia costruito le sue fortune di provincia nell’essere un allenatore di campo, dedito al lavoro quotidiano e costante nel costruire le squadre, plasmare uno stile di gioco (prevalentemente offensivo) e sviluppare la crescita dei giovani.

Qualcosa che, come abbiamo imparato dall’esperienza di Antonio Conte e dalle sue continue frizioni con gli altri allenatori di Serie A, è lontanissimo dal lavoro e dal modus operandi di un allenatore della Nazionale.

Non ho dubbi nel dire che Ventura, nelle sessioni di lavoro che svolgerà a Coverciano nei prossimi due anni, farà un ottimo lavoro e sarà in grado di dare un imprinting ai giocatori da lui selezionati.

Ho molti dubbi nelle capacità di Ventura come “lavoratore a distanza” e come selezionatore nel preparare partite particolari -considerando il girone di qualificazione che ci aspetta queste “partite” saranno numerosissime- dove non si può sbagliare.

La scelta di un CT come Ventura ha pochissimo senso nel biennio mondiale, dove non puoi permetterti di creare un progetto da zero, ancor di più quando hai un girone che quasi sicuramente ti costringerà a giocarti la qualificazione ad un playoff andata/ritorno.

Avrebbe avuto molto più senso puntare su una tipologia di allenatore stile Ventura due anni fa: qualificarsi ad un Europeo a 24 squadre è molto più facile ed in ogni caso andremo in Francia consapevoli che un quarto di finale raggiunto sarebbe un risultato onorevole.

L’Italia ha perso due anni con Conte che nel breve periodo ha lavorato molto bene, ma ha costruito zero sul medio/lungo e che porterà una sua squadra in Francia, di pretoriani e di scelte fatte per convinzioni tecnico/tattiche.

Ventura sarà un CT che costerà poco, molto meno di quanto sarebbe costato un selezionatore più blasonato (perché non si considera mai l’idea di un allenatore straniero?) e più di sicuro rendimento e che in ogni caso difficilmente sarà l’allenatore della Nazionale dopo il 2018 (quando arriveremo al decimo CT in 21 anni), vuoi per età (avrà 70 anni e le motivazioni saranno tutte da verificare) e vuoi per risultati che potrebbero non essere raggiunti (motivo per cui questa scelta potrebbe anche essere un ‘alibi’ perfetto).

Una scelta coraggiosa, anche alla luce del fatto che Tavecchio potrebbe non festeggiare il prossimo Natale da presidente FIGC, sarebbe stata quella di un allenatore poco sexy (abbiamo spesso assistito, nell’ultima stagione, a ripetuti peana celebrativi, quasi anticipati, sul #TorinodegliItalianidiVentura), magari straniero, con il quale promuovere un progetto di 6 anni che possa vederci realmente competitivi a Qatar 2022, accettando il rischio di non qualificarsi in Russia.

Invece si temporeggia, si fa una scelta di retoricadi manifesto (se Ranieri non avesse stupito il mondo col Leicester, Ventura sarebbe stata una buona idea per i media?) dimostrando come al calcio italiano non importa nulla il pensare sul medio/lungo periodo.

Tanto, poi, si può sempre ricorrere al #TroppiStranieri come giustificazione e panacea di tutti i mali.

Palliativo Britannico?

Nonostante i risultati altalenanti a livello europeo (solo tre Champions League vinte dal 2000 ad oggi, con il 3° posto nel Ranking UEFA a rischio per i prossimi anni), la Premier League continua ad essere il campionato di calcio per club più ricco e attraente del mondo.

Il fascino del campionato inglese è decisamente elevato presso i media mondiali, e il nuovo contratto televisivo da oltre £5 miliardi di sterline (più di sei volte superiore a quello che è l’accordo TV per la Serie A italiana) che entrerà in vigore nella prossima stagione ha portato denaro fresco e abbondante nelle casse dei 20 club della massima serie.

Parallelamente, ha riacceso il dibattito attorno all’impressionante ed inarrestabile aumento dei prezzi dei biglietti allo stadio, che hanno creato un profondo cambiamento sociale nella composizione del tifo britannico.

Negli ultimi mesi, l’eco delle proteste di tifoserie come quella del Liverpool han fatto discutere sull’effettivo potere dei Fan nel contrastare questo fenomeno.

È in questo contesto che si inserisce l’accordo raggiunto stamattina tra i 20 club di Premier League che porterà, nelle prossime tre stagioni (quelle dell’accordo monstre), ad un tetto di massimo £30 per i cosiddetti Away Tickets, i biglietti per le partite in trasferta.

La misura è una risposta d’impatto alla campagna Twenty is Plenty, che promuoveva un tetto massimo inferiore, pari a £20 (poco più di €25). L’accordo unanime sulle £30 ha scongiurato una possibile spaccatura tra le società in caso di eventuale votazione, che si sarebbe svolta entro fine mese, sulle £20 volute dai tifosi.

Una domanda da porsi, a questo punto, dovrebbe essere la seguente: £30 è abbastanza?

Inizialmente sembreremmo propensi a dire di sì, specialmente guardando a questa tabella del Daily Mail, che mostra l’aumento degli Away Tickets delle 11 squadre di Premier League sempre presenti nella massima serie nelle ultime 20 stagioni.

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Fonte: Daily Mail

Come si può vedere dalla tabella, l’aumento del biglietto delle squadre considerate è andato ben oltre qualsiasi tasso di crescita fisiologico dovuto all’inflazione.

Il caso più eclatante è, senza nessuna sorpresa, quello dell’Arsenal, che ha visto un per certi versi necessario aumento dei prezzi a seguito dell’inaugurazione, dieci anni fa, del suo Emirates Stadium.

Osservando meglio la tabella però si arriva a intuire come il tetto di £20 avrebbe rispecchiato in alcuni dei casi il potenziale prezzo odierno seguendo il tasso d’inflazione: in contrasto, alcune delle squadre (Tottenham, Southampton, Chelsea) già 20 anni fa si avvicinavano a quel prezzo “limite” oggi richiesto dai fan: in questi casi parliamo di squadre che 20 anni fa (ma anche oggi) avevano impianti relativamente piccoli, attorno ai 40.000 posti a sedere, con necessità quindi di ricavi anche sui biglietti “esterni”.

L’accordo collettivo rimpiazza, almeno momentaneamente, il cosiddetto ASI (Away Supporters’ Initiative): una serie di contributi economici (dal valore minimo totale di £200.000 a squadra) previsti dai 20 club di Premier per gli Away Supporters dal 2013-14, data di partenza dell’attuale contratto televisivo (di valore inferiore del 71% rispetto al nuovo).

Le iniziative, in alcuni casi, prevedevano già tetti massimi ai prezzi (il caso dello Swansea e del’iniziativa “True for 22”), accordi di reciprocità (con protagonista in questo caso il Newcastle), trasporti gratis o agevolati (anche in aereo) per alcune delle partite della stagione o sconti fissi (tra i £4 e i £5) sul prezzo del biglietto in trasferta applicato dalla squadra ospitante (è il caso di club più blasonati come Arsenal, Liverpool e Manchester United).

È tuttora poco chiaro se le agevolazioni dell’ASI continueranno ad essere applicato, singolarmente o collettivamente, da parte dei club di Premier League (l’Arsenal ha già confermato lo sconto di £4, stabilendo quindi un tetto di £26 al prezzo di tutti gli Away Tickets).

È altrettanto dubbio quanto l’accordo possa rappresentare da apripista a una riduzione anche per quanto riguarda i prezzi dei biglietti casalinghi e degli abbonamenti stagionali.

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Fonte: Premier League

La Premier League, per evitare che tutto questo sia semplicemente considerato un palliativo, un semplice contentino per i tifosi, deve quindi far in modo che l’accordo di oggi sia un punto di partenza (e non di arrivo). In questa direzione il prossimo passo potrebbe essere l’istituzione di un Season Away Ticket, misura che testimonierebbe la crescita della collaborazione tra i 20 club di Premier.

In caso contrario, sarà dura non vedere l’accordo come un Image Cleaning da parte dei club di Premier League dopo le reazioni negative alle voci sulla futura Superlega Europea.

Gatte frettolose e Figli ciechi

Data la quasi assenza di reale competitività nel campionato di Serie A (dico quasi solo perché aspetto di vedere come Napoli e Juve reagiranno al cambio in vetta di sabato e al ritorno delle coppe europee), ogni anno i media che contano (per usare termini cari all’establishment sportivo) si lanciano in sperticate lodi per squadre simpatiche che attraversano ottimi momenti di forma o spietate critiche a squadre meno simpatiche per motivi anche extracalcistici.

Sia chiaro: è assolutamente logico evidenziare (e lodare) un Sassuolo che perde la prima partita in casa a gennaio o un Empoli che chiude il girone d’andata tra le prime 10 con più di 30 punti.

Il problema nasce quando questi giudizi esagerano, perdono la bussola e si trasformano in considerazioni generali. Usando un numero di partite positive (o negative) per evidenziare un trend generale è superficiale, frettoloso e sciocco. Specialmente se il tutto proviene da chi parla e vive calcio per mestiere e ha il compito di informare e “avvicinare” la gente.

Che un tifoso vada in overconfidence è normale e per certi versi ovvio.

Che ci vada un addetto ai lavori un po’ meno.

Ecco qualche statistica che, leggendo i soliti processi alle solite squadre, magari vi sarà sfuggita:

  • Sesta giornata: il Torino, con la vittoria sul Palermo, raggiunge il 3° posto in classifica. Si sprecano gli elogi per il Toro degli italiani, modello vincente contro chi fa squadre troppo straniere (anche lo stesso Palermo, ad esempio).
    13 punti in 6 giornate significano un bottino ben superiore ai due punti a partita. Nelle successive 19 partite i granata raccolgono 18 punti. Nell’arco di tempo considerato, solo Carpi (17), Sampdoria (15) e Verona (12). Torino che ha superato il totale di Samp e Carpi soltanto nell’ultimo turno, nel 3-1 rifilato al Palermo.
  • Il digiuno più lungo di vittorie? Se state pensando alle squadre più “disastrate”, vi sbagliate di grosso. L’Atalanta non vince da 10 partite (5 pareggi e 5 sconfitte), dal 3-0 contro il Palermo. Dai soliti noti, calma piatta.
  • Ma parliamo del Palermo, inviso agli occhi dei media che contano per la girandola di allenatori (dovuta più che altro ad altre questioni, ma certe cose i cacciatori di retweet che nella vita dovrebbero però cacciare gli scoop non le sanno). Squadra rosanero che, a differenza di altre (di cui parlerò dopo) sta avendo un andamento abbastanza regolare: a parte l’inizio della stagione (con 4 sconfitte consecutive dopo i 7 punti nelle prime 3), non sono mai passate più di quattro partite senza vedere i siciliani conquistare i tre punti. Nel periodo della baraonda societaria, il Palermo ha conquistato 8 punti in 7 partite: non un ruolino esaltante, ma comunque meglio delle seguenti squadre: Inter, Sassuolo, Atalanta, Sampdoria, Empoli, Frosinone, Verona. Scommetto che almeno 3 di questi nomi vi avranno stupito.
  • L’Empoli dei miracoli di Giampaolo (cit.), proprio dopo le lodi sperticate dei soliti noti, ha conquistato 4 punti nel girone di ritorno finora, frutto di 4 pareggi: solo Sassuolo, Udinese e Sampdoria finora han fatto peggio.
  • Il Genoa ha 9 punti nelle ultime 12 partite. Ma su e per Gasperini leggerete soltanto lodi sperticate per l’aver fatto i nomi degli Ultras contro di lui dopo una partita vinta 4-0 (ovviamente contro il Palermo).
  • L’Udinese detiene il secondo digiuno più lungo di vittorie, con 7 partite senza tre punti (spicca, manco a dirlo, il 4-1 rimediato a Palermo). Ma hanno inaugurato lo stadio nuovo, quindi va tutto bene.
  • Passiamo alla squadra preferita della retorica #primagliitaliani: il Sassuolo, la prima squadra in Serie A per proventi da Main Sponsor (che è, tra le altre cose, l’azienda del proprietario). Il disclaimer l’ho sottolineato, perché è un dato che spesso è assente nella retorica che si spende sulla squadra emiliana (vedere, per credere, l’immagine di testa di questo post). Ricordate la grande vittoria schiacciante (al 95° su rigore) dell’orgoglioso Sassuolo sulla deludente Inter? Benissimo, nonostante un mercato invernale interlocutorio (a meno che non si consideri come determinante la cessione di Floccari), i neroverdi non han più vinto una sola partita da allora, perdendo ben tre partite in casa su quattro giocate (l’unica, per confermare il vero leit motiv del post, contro il Palermo). Eppure nessuno parla di crisi Sassuolo.
  • Chiudiamo in bellezza, con la Sampdoria. Era il 10 novembre 2015 quando il sempre lucido Massimo Ferrero esonerò Walter Zenga per sostituirlo con Vincenzo Montella, presentato così.
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    L’aspetto più bello del tweet forse sta nell’annuncio ritardato di un giorno, per rispetto delle vittime degli attacchi terroristici di Parigi.
    Zenga lasciò la Samp avendole dato 16 punti in 12 giornate: troppo pochi, per le ambizioni di Ferrero. Quella Samp si trovava al 10° posto, a 6 punti dal 5° posto “europeo” del Sassuolo. Ad oggi la stella più bella ha collezionato, sulla panchina doriana, 9 punti in 13 partite, vincendo solo contro il Palermo (because of course) e il derby contro il Genoa (e anche qui ci starebbe l’ovviamente).
    Eppure le uniche critiche si leggono sui social da parte dei tifosi: dite che serve avere una stampa positiva attorno?

Al di là dell’eterno ritorno del Palermo in quasi ogni statistica, è doveroso sottolineare che alla stesura di questo post hanno contribuito soltanto la mia memoria e Wikipedia.

Nessuna conoscenza da insider, niente di particolare.

È logico che lodare/criticare Juventus/Napoli/Fiorentina/Roma/Inter/Milan, in rigoroso ordine di classifica, è più redditizio in termini di buzz generato, copie vendute e attenzione attirata.

Non c’é nulla di male ad essere esperti o a seguire solo 6 squadre su 20. Anche se il seguirle porta a certe robe tipo questa:

 

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Notevole, alla luce del post, anche quel “i granata non infieriscono”

Il problema si pone quando ci si vuole professare esperti, senza conoscere, anche delle altre 14. Anche qui, di base non ci sarebbe nulla di male: siamo pur sempre il paese dei 60 milioni di CT, professori di economia e finanza, parlamentari, giuristi e chi più ne ha più ne metta.

Ma se sei un addetto ai lavori dei media che contano, cerca almeno di non essere smerdabile con 10 minuti su Wikipedia.

Che bella l’NBA

Che bella l’NBA.

Che bella l’NBA, dove grandi campioni si affrontano lealmente e nel massimo rispetto.

Che bella l’NBA, dove il razzismo è talmente combattuto al punto in cui uno dei proprietari più ricchi viene bandito a vita per aver definito un ex giocatore “negro di merda” in una telefonata con l’amante.

Che bella l’NBA, dove non importa il fatto che di quella telefonata siamo venuti a sapere solo grazie a uno scoop, e poco importa che sia un fatto privato.

Che bella l’NBA, dove i più accesi contestatori di quel proprietario sono stati i suoi stessi giocatori, lo staff tecnico, i tifosi.

Che bella l’NBA, dove un giocatore fa coming out da free agent (senza squadra) e viene firmato senza problemi qualche settimana dopo.

Che bella l’NBA, dove giocano 100 giocatori stranieri e nessuno reclama “più spazio per gli americani, #TroppiStranieri!”

Che bella l’NBA, dove la globalizzazione si estende anche agli staff tecnici, che vanno lentamente popolandosi di allenatori stranieri.

Che bella l’NBA, dove ci sono donne che arbitrano e allenano: e tutto ciò viene visto come assolutamente normale. Donne che sono trattate in maniera eguale, elogiate quando la loro conoscenza rappresenta un valore aggiunto e criticate quando lo meritano.

Che bella l’NBA, dove un giocatore che insulta un arbitro gay in campo non solo viene punito dalla lega, ma anche dalla sua stessa squadra (pur “forzata”).

Che bella l’NBA, così lodata da tutti in giro per il mondo, anche da quelli che sono i primi ad avere atteggiamenti beceri, ignoranti, razzisti, sessisti, omofobi, stupidi.

Che bella l’NBA, dove nessuno si sogna di dire all’arbitro gay insultato dal giocatore “lo fai per farlo punire” “sono cose di campo” “è un vergognoso accerchiamento mediatico contro la squadra”.

Che bella l’NBA, dove non esistono pene per la discriminazione territoriale proprio perché non è concepita.

Che bella l’NBA, dove le battaglie culturali e sociali sono abbracciate indistintamente e non in base al proprio opportunismo, che sia relativo al tifo o alla linea editoriale.

Che bella l’NBA, che è talmente grande da permettere a certuni di lavarsi la coscienza.

Che bella l’NBA, perché è facile fare elogiare gli altri e le loro regole ma, allo stesso tempo, dire “sono cose di campo” “opportunista” quando tocca a noi.

15 ‘2015 Sport Highlights’ I won’t forget

Roberta Vinci’s interview after Serena’s Us Open Upset

A 300/1 favorite to win her US Open Semifinal, Roberta Vinci shocked the Tennis and Sport World by stopping Serena Willams’ run to a Calendar Year Grand Slam.

After an amazing comeback win, Vinci won fans heart with a joyful and open-heart on-the-court interview.

Kobe Bryant announces his retirement from Professional Basketball

With an emotional letter on the Players’ Tribune, NBA legend Kobe Bryant announced his upcoming retirement from Pro Basketball.

The rest of the 2015-16 Lakers Season is going to be a long Farewell Tour to the Black Mamba, a unique catalyst of feelings, and an occasion to reflect on a long and incredible career.

Robert Lewandowski scores 5 goals in 9 minutes

On September 22 Bayern Munich striker Robert Lewandowski entered the game against Wolfsburg right after halftime, but not even the most optimistic fan would have ever dreamed what happened in the second half first 15 minutes.

The Polish number 9 made history, scoring 5 goals in a 8 minutes and 59 second arch. And they were one better than the other.

Usain Bolt stays on top of Athletic’s World

Jamaican World Record Holder Usain Bolt entered the 2015 World Athletics Championships in Beijing not in the best physical shape, with the concrete chance of losing his long primacy to controversial former Olympic Champion Justin Gatlin.

But in the Stadium where his legacy started, he reminded us why he’s the number one.

Gregorio Paltrinieri breaks the oldest Swimming World Record

Young Italian freestyle Swimmer Gregorio Paltrineri has had a breakout year in 2015.

He finally consecrated himself with winning the Gold medal in 1500m Freestyle at Kazan’s World Championship, but he was able to do more of that, by breaking the oldest Swimming World Record on books, the 1500 Freestyle Short Course one, made in 2001 by Swimming Legend Grant Hackett.

Danilo Gallinari breaks Germany’s heart at 2015 EuroBasket

After a long series of injuries, in 2015 Danilo Gallinari reminded us why he’s one of the best European players of his generation.

He scored an impressive 47-point-game Career High early in the year with his Denver Nuggets, but his most impressive performances were during the 2015 EuroBasket, where he led his Italian team through a though Group Stage with lots of impressive plays and numbers.

His clutch Game-Tying shot against the host German team has been an inexplicable moment to witness live.

MSN is alive, leading Barcelona to Football Dominance

My generation has grown up with MSN messenger, the first viral system to chat and communicate with friends worldwide.

Windows Live Messenger was discontinued in 2013, but the acronym regained new life with the explosion of the outstanding FC Barcelona trio of striker: Lionel Messi, Luis Suarez and Neymar led the Catalan team to their second Treble (first team in Football History to accomplish that) in 6 years in 2015, scoring (as of today) 135 goals in the calendar year for Barça.

Golden State Warriors made Sport History

2015 was, without a doubt, the ‘Dubs Year’.

The Golden State Warriors won their first NBA Championship in 40 years, after an historical season (their 83 wins, combining Regular Season and Playoffs, is the 3rd highest in NBA History). But they were often labeled as ‘lucky’.

After that claims, they started the 2015-16 NBA Season with 24 consecutive wins, crashing by far the previous League Record (no team had done better than a 15-0 start in NBA history) but also making an all-time record for North American Professional Sports.

Klay Thompson’s Insane 37-point Quarter

Basketball fans could have feel that 2015 was going to be the ‘Warriors Year’ already on January 23rd.

Golden State entered the second half against the Sacramento Kings with the game in balance, when Klay Thompson made a 2-pointer for the 61-58 Warriors lead, with 9’45” remaining to play.

That basket was the beginning of an NBA Record: 37 points in a Quarter, the result of a perfect shooting display (13/13 from the field, 9/9 from the 3-point line, 2/2 on free throws).

Wawrinka defeats Djokovic in Roland Garros Final

2015 was a Record year for World Tennis Number 1 Novak Djokovic, whom was able to win 3 Grand Slam titles, 6 Master 1000 Tournaments, playing 15 consecutive finals (out of 16 tournaments played) and making All-Time record in Prize Money earnings.

He was only the third player in tennis history to reach, in a calendar year, all 4 Major Finals (after Rod Laver and Roger Federer), but the surprising loss to Stan Wawrinka in Roland Garros Final prevented him from a Year (and Career) Grand Slam. For now.

Flavia Pennetta wins US Open and announces her retirement from Tennis

Roberta Vinci’s exploit against Serena Williams was only one half of the fantastic cake baked by Italian Tennis Player in 2015 US Open: the american Slam saw a first-ever all-Italian Major Final in Pro-Tennis history between Vinci and Flavia Pennetta, two longlife friends both coming from Puglia.

Pennetta later prevailed over her fellow national, conquering her first Grand Slam title (on her first Final), and after that she shocked Tennis World by announcing her retirement, in ‘Sampras style’.

Jamie Vardy, Leicester making Premier League History

After 16 games into the 2014-15 Premier League Season, Leicester Football Club was at the bottom of England’s main Football League, with only 2 wins and 10 overall points.

Today, with 16 games into the current season, the Foxes are on top of England’s Football, with 10 won games and 35 points.

One of the reasons for such a turnaround is Jamie Vardy, a striker whom was playing semi-professional league Football only in 2012, able to make a new Premier League Record scoring in 11 consecutive matches.

Chelsea’s Downfall in just 7 months.

Chelsea Football Club began 2015 in fashion, winning their 5th League Cup and, later in May, their 4th Premier League title in 10 years (5th in team history). José Mourinho’s return to Blues’ bench paid off.

What no one could have ever imagined is that, as of today, Chelsea is living an authentic nightmare and one of the most unthinkable and quick downfalls in Football History, being only one point over Relegation zone after their loss to Leicester, a one resulted in the end of Mourinho’s second spell at Stamford Bridge.

Dinamo Sassari Historical Italian Treble

2009/10 was a season of ‘firsts’ for Italian Sport. For example, FC Internazionale became the first Italian Football Team Ever to accomplish the ‘Treble’. It was also the season, in Basketball, of the First Ever Promotion to ‘Serie A1’ for Dinamo Sassari.

5 years later, Sassari made Italian Basketball History by accomplishing a National Treble, winning ‘Supercoppa’, ‘Coppa Italia’ and ‘Scudetto’ after an amazing and unthinkable ride.

Wisconsin Stuns Kentucky’s Perfect Season Dreams

I started the piece with an amazing upset in 2015, I end it with another one.

The Kentucky Wildcats entered the NCAA Basketball 2015 Final Four with a 38-0 record, looking to becoming the first College Team in almost 40 years to accomplish the ‘Perfect Season’ and doing that with the best overall record.

Between Calipari’s Team and the Championship Game there were the Wisconsin Badgers, led by National Player of the Year Frank Kaminsky.

The Badgers took down the previously unbeaten Wildcats on the grand stage of the Final Four. And they did it in fashion.

Alcides, l’ultimo del Maracana’

Disclaimer: il pezzo che leggerete è stato scritto da me l’11 giugno scorso, immaginando un’intervista che avrei potuto fare (ma non ho fatto) al grande Alcides Ghiggia. Il quale se ne è andato lo scorso 16 luglio, a 89 anni, dopo una vita meravigliosa. Interpretatelo, se volete, come un omaggio postumo.
Spesso l’uomo impiega del tempo (tanto, troppo) nel trovare la sua casa.
Per casa non intendo il luogo natio, il cosiddetto hogar, ma quel posto dove si cresce, dove ci si completa.
Per trovare la propria casa spesso l’essere umano viaggia e si sposta di continuo, alla ricerca di un qualcosa di nuovo e “sicuro”. Nella ricerca della casa capita talvolta di imbattersi in personaggi leggendari e affascinanti, che stimolano in te un desiderio di scoperta, una curiositas, pari a quella del viaggio.
Per me, Alcides Edgardo Ghiggia è uno di quei personaggi.
Nella mia finora breve e minima carriera di giornalista ho avuto la fortuna e la capacità di intervistare ed incontrare figure rilevanti dello sport -e non solo sport- italiano ed internazionale, occasioni più o meno emozionanti in cui ho potuto raccontare lo sport e le loro carriere nel modo che ritengo più attraente: biograficamente. Penso che “l’intervista biografica”, all’interno del racconto sportivo, sia un metodo che consente a chi racconta e, soprattutto, a chi legge di capire e identificarsi davvero con l’intervistato, con la sua carriera e con i momenti cui, da appassionati sportivi, si è assistito.
Questa premessa mi è utile per introdurre  l’intervista che tanto avrei voluto fare e che, probabilmente, non realizzerò mai.
Prima di iniziare è doveroso dire che Alcides Edgardo Ghiggia nasce il 22 dicembre di 89 anni fa a Montevideo, capitale di un paese che, ai tempi, andava affermandosi come uno dei più industrializzati e democratici della sua regione: prossimo a festeggiare il Centenario dell’indipendenza, l’Uruguay del 1926 stava vivendo gli influssi benefici del Battlismo dal punto di vista economico e industriale, era un paese completamente laico e, anche tramite il calcio, riusciva a porsi sul mappamondo attirando l’attenzione dei paesi europei (ad esempio il Regno Unito, col quale vi erano frequenti relazioni commerciali) e nordamericani.
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La IASA di Alcides Ghiggia
La carriera di Alcides Ghiggia nasce come ala destra, ruolo in cui poteva sfruttare al meglio le sue doti fisiche e il suo gioco sviluppato por las calles (parliamo di un giocatore che aveva la fisionomia di un Messi), ma, a differenza di quelli che saranno i suoi compagni del ’50, non nasce calcisticamente nel Nacional o nel Peñarol, ma nella IASA, Institucion Atletica Sud America, una delle tante squadre dei quartieri “periferici” di Montevideo ma una delle poche che oggi non gioca nella capitale, ma nella vicina San Jose. Dalla IASA va al Progreso, dove esordisce in Primera e comincia a mettersi in luce. In Uruguay se ti metti in mostra la chiamata di un “grande” non tarda mai ad arrivare: infatti nel 1948 firma con il Peñarol, dove farà conoscenza con una figura ricorrente della sua carriera e vita: Juan Alberto“Pepe” Schiaffino.
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Alcides y el Pepe
Già, Schiaffino. Come ha influito nella sua carriera, señor?
Pepees simplemente un fenomeno. Quando arrivai al Peñarol lui era già un esempio per tutti, e si vedeva che era qualcosa di diverso dagli altri. Oggi il mondo elogia l’inventiva di un Pirlo o di un Iniesta, ma loro non sarebbero mai esistiti, in questi termini, senza Schiaffino. È incredibile pensare come la mia carriera, i miei successi ed i miei destini si incrocino così tanto con quelli del Pepe.
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Ghiggia Manya
Il suo ‘recorrido’ nel Peñarol è stato segnato dalla “maquina del ’49”.
Senza quella squadra fantastica probabilmente non sarei mai andato a giocare il Mondiale l’anno dopo. Una squadra capace di vincere e segnare come quella poteva dire la sua anche a livello continentale, visto poi il risultato che abbiamo fatto con la Celeste l’anno dopo.
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El Negro Jefe
In quel Peñarol c’era, oltre a Schiaffino, Obdulio Varela.
Se Schiaffino è Il Regista, Obdulio è Il Capitano. Lo odiavi, lo odiava Pepe quando litigavano come cane e gatto, quando Varela disse che fu Schiaffino a dire “se ce ne fanno 3 va bene” prima della finale col Brasile, dentro di noi sapevamo benissimo che non erano le parole di Juan Alberto. Uno può pensare “que pelotudo” uno che rischia di mettere zizzania nello spogliatoio. Ma tutti noi sapevamo bene che era un modo per motivarci. C’erano 200 mila persone. Tranne 30-40, erano tutti brasiliani. Erano tutti che si aspettavano una vittoria dei padroni di casa.
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Los de afuera son de palo
Come si affronta una partita così?
Eravamo concentrati, tranquilli ma allo stesso tempo vogliosi. Sapevamo che il Brasile tende ad attaccarti da subito, infatti giocammo per finire 0-0 il primo tempo. Loro erano contratti, troppo contratti; alla fine giocando come sapevamo non fu impossibile riuscire ad arrivare pari all’intervallo.
Dopo l’intervallo però Friaça batté Maspoli. Per tutti ormai sembrava finita. Ma non per noi.
Qui ritorna, ancora una volta, il suo legame con Schiaffino.
All’intervallo avevamo pensato ai possibili modi per scardinare la difesa brasiliana. Pepe non giocò un gran primo tempo, ma sapevo che si sarebbe fatto trovare pronto. Al 24° me ne andai sulla destra e crossai indietro. Arrivò proprio Pepe, che tirò forte e angolato. Gol!
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L’inizio della fine
1-1, il risultato però andava comunque bene al Brasile.
Sì, ma non si sarebbero mai accontentati di pareggiare. E allo stesso tempo vedemmo che vincere era davvero possibile. Prendemmo coraggio, e dieci minuti dopo arrivò il mio gol.
Il gol del secolo.
Andavo in contropiede sulla destra, la stessa posizione da dove crossai per il gol del pareggio. Ero tanto veloce che Bigode non riuscì a fermarmi. Allo stesso tempo Juvenal era in ritardo con l’aiuto. Entrai in area e calciai forte rasoterra sul primo palo. Barbosa si tuffò quando la palla era ormai già dentro.
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Campeones
Cosa ricorda del post partita?
Ero felice perché avevamo vinto il Mondiale, ovvio. Ci abbracciammo tutti, increduli ed entusiasti. Avevo pure segnato il gol decisivo, cosa potevo chiedere di più? Ma tutto attorno a noi era surreale. La gente piangeva, si disperava, dopo scoprimmo anche che alcuni si uccisero. Persino la premiazione avvenne in fretta e furia, e fummo costretti a “scappare” in spogliatoio, in albergo e poi a casa. Proprio dopo la partita mi colpirono alla gamba e mi infortunai. Ma non porto rancore: negli anni successivi, ogni volta che sono tornato in Brasile, sono sempre stato accolto abbastanza bene.
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Ghiggia a Montevideo durante i festeggiamenti
Che effetto le fa l’essere riconosciuto per strada ancora oggi, 65 anni dopo?
Incontro tanta gente della mia età, tanti veterani insieme ai loro nipoti, che magari vestono la maglia della Celeste, il 9 di Suarez o il 7 di Cavani. Mi chiedono una foto con loro, una foto con i nipoti, gli spiegano loro chi sono. Lo sguardo dei bambini è incredibile: tutti in Uruguay conoscono il mio gol a memoria, alcuni mi chiamano “leggenda”. Dopo tutti questi anni, è un qualcosa che mi inorgoglisce e mi commuove. Si ricordano ancora di me!
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Ghiggia recentemente
Si ricordarono di Alcides Ghiggia anche quando, terminato il ciclo con il Peñarol, seguì l’amico Pepe Schiaffino in Italia. Nel nostro Paese Ghiggia gioca 8 anni con la Roma, della quale fu anche capitano e, insieme proprio alPepe, conquistò la Coppa delle Fiere 60-61, dopo la quale si trasferì al Milan, dove contribuì alla conquista dell’ottavo scudetto, insieme ad un giovane Gianni Rivera.
Si ricordarono di Alcides Ghiggia anche al Peñarol, che allenerà per un breve periodo nel 1980 (dopo essere tornato a “casa” e aver disputato l’ultima stagione della carriera con il Danubio).
Si ricordarono di Alcides Ghiggia anche i brasiliani, quando nel 2009 lo invitarono a poggiare la sua impronta nellaWalk of Fame del Maracanà. Accanto a quelle di Pelé, Beckenbauer ed Eusebio. Il nostro si commosse: mai si sarebbe aspettato un tale riconoscimento da parte di chi ha pianto un suo gol.
Si ricordarono di Alcides Ghiggia quando, nel 2012, un camion travolse la sua auto e lo portò ad un passo dalla morte.
Ghiggia si salvò “per miracolo”, o più semplicemente perché non poteva morire senza aver gritado il suo gol più famoso, il suo gol più celebre, il gol que nunca se gritò.
 
Fino al 21 novembre del 2013. Prima del playoff di ritorno tra Uruguay e Giordania, valido per la qualificazione a Brasile 2014, 65 mila persone gritaron il gol di Alcides Ghiggia.
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Se grito’
Quel 21 novembre tra i 65 mila del Centenario c’ero anche io. Anch’io ho gritado el gol que nunca se gritò.
Non ho intervistato Ghiggia, al massimo ci ho scambiato due parole al telefono. Probabilmente non lo intervisterò mai.
Sembrerà retorica, ma il gol di Ghiggia è davvero il simbolo di un paese. È un qualcosa che trascende le generazioni, che attraversa il mondo e segna la cultura.
È stato d’ispirazione per canzoni, libri, film.
È capace di far venire la pelle d’oca a più di tre milioni di anime ad ogni singola visione. Ci riesce anche con me.

Ogni singolo giocatore che veste la Celeste sueña con quel gol. Sogna di ripetere un gol irripetibile, di riportare sul tetto del mondo un paese che si appresta a difendere la sua quindicesima Copa America (record continentale, più dell’Argentina, più del Brasile).

A farlo a grito de gol.

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Gracias por tanto

All We Need is Sport

“Sport represents almost a union of diversity. As Lassana Diarra has emotionally put it: sport has no colour, sport has no religion.”

Didier Deschamps, France NT coach

Tuesday’s friendly match between England and France was originally fixed for charity reasons, to raise funds against the breast cancer.

When I bought the ticket weeks ago, I was really happy to contribute for such a noble cause.

What happened last Friday night in Paris changed, of course, everything.

Surprisingly, the French Football Federation decided to keep the fixture as schedule, to play and remember the 129 people whom lost their lives due to the brutal terrorist attacks.

A lot has been written about the emotional atmosphere at Wembley; in this post I will just tell you my experience at the most special game I’ve ever witnessed in my life.

Tricolour Arch
Living 500 meters near Wembley Stadium gives you uneconomical benefits, like the possibility of getting home 10 minutes after game’s ending.
It’s not all about benefits: for example, on match day, only Tube lines regularly works, or it’s harder to find lots of goodies in the supermarket.

On Tuesday night, the extended number of policemen, fully armed with rifles and bulletproof vests, probably made Wembley Stadium and its neighbourhood the safest places in the whole world.

Besides the massive security presence, Olympic Way (the pedestrian that takes you to the Stadium from Wembley Park Tube Station) was a triumph of essentially three colours: blue, white, red.

Lots of English fans were chilling and slow proceeding to Stadium Gates taking selfies with French fans, sharing scarfs and smiling all the time.

It felt like being invited to a weird party, where everyone is happily enjoying their time but still having the odd feeling that in any moment everything could just vanish.

At this moment the news about a cancelled match in Hannover, Germany, for security reasons, began to spread through everyone’s smartphones or tablets.

I was amazed about almost anybody wasn’t showing any signs of fear or preoccupation.

It was like everybody felt to be safe.

I got to my Gate entrance quite early, to avoid spending too much time in security checking.
I worried needlessly: in less than 10 minutes since the Gate opening I was already sitting on my seat.

Although I spent really a few time at the security checks, I could noticed the effect of the safety reinforcement measures simply by noticing the stadium filling, much slower than usual.

After seeing some rehearsal, as usual, by the music Royal band, it was time for the teams to take the pitch for a quick warm up.

Crowd’s reaction to France entrance was a perfect anticipation of what Wembley’s climax was going to be in a few minutes.

The most framed player in stadium big screens was, by far, Lassana Diarra.

His familiar tragedy of losing a cousin in Bataclan’s theatre was known by all the fans, whom constantly applauded him anytime his face appeared on screen or his name was called by the speaker.

Diarra is also responsible for what I consider one of the best reactions to the Paris Attacks.

The details of pregame ceremony weren’t precisely clear to the audience. We all knew that we were supposed to sing, all together, La Marsellaise, with the lyrics that would had been displayed on stadium screen.

A few minutes before kickoff the teams entered the field, with a 70,000 people standing ovation that went on for quite some time.

Teams were followed by a delegation led by Prince William, Roy Hodgson and Didier Deschamps; each one of them was carrying a flower crown, which stood in front of the benches during the whole match.

Behind them, there was a group led by British PM David Cameron.

After the floreal homage, it was time for a much anticipated moment: the National Anthems.

I hope that the videos can help understand what it felt being there.

I’ve had the luck, in my life, to witness a few real special Sport Moments. Surely these Anthems can be placed in my all-time Top 3.

After a long and emotional standing ovation, it was time to close the remembrance with a minute of pure and absolute silence.

The sound of Wembley’s silence was the loudest possible answer to what happened four days before in Paris.

  
After these emotional moment, it was time for some football.

England’s beautiful goals scored by Dele Alli and Wayne Rooney gave something to celebrate to English fans, but last Tuesday was really more than just Football.

I’m not naif and I don’t think that Football has redeemed its hurted image with Wembley’s events. That is something that goes beyond a simple emotional moment during a special occasion.

But Tuesday’s match and pregame atmosphere shows that in complex times, ones in where people feels the need to gather all together and focus their minds into something ‘light’, all we need is Sport. 

Sport’s ability to form groups and to develop strong feelings (in good or bad ways) it’s something that represent the true nature of Sport itself, and perhaps the main reason why We Love Sport. 

  

Paolo Condò and the Passion for Sport Journalism in 2015

(Profile written as an Assignment for a University of Westminster course; ITALIAN VERSION BELOW)

Globalisation has had profound effects on the landscape of Journalism, changing literally everything, from news gathering to producing interviews. In these frenetic times it is worth to ask ourselves if the passion for this job is still intact or if has changed too, mainly due to Media Revolution.

“Passion for Football is a 33% of my job; another 33% is represented by the passion for writing and a final 33% reserved to the love for travelling. I would dedicate the 1% left to ego.”

Paolo Condò is one of the most respected and trusted football journalists of the Italian scene. After a career start in his hometown, Trieste, at Piccolo, Condò spent 31 years at La Gazzetta dello Sport and since last August he is one of Sky Sport’s talents. His international reputation is underlined by the fact that, at today, he is the only Italian journalist enlisted into ‘FIFA Ballon d’Or’ jury list.

“I started as a contributor at ‘Piccolo’ covering amateur football”, Condò said, “and due to my results I was hired. Two years later ‘Gazzetta’ phoned, because they noticed me, and I moved to Milano.” 

In his long-life career Condò has travelled around the world covering important stories or realizing distinguished interviews, and he thinks

“nothing compares to a far journey, with the ‘safeness’ of a famous newspaper with you, but the necessity of dealing alone, on the field, with everything. Life and careers are made by different phases: fortune is determined by doing the right thing at the right time. It has happened to me, and if today I am a reliable journalist is because the audience feels in my opinions the echo of my experiences.”

Experiences in covering Sports easily bring journalists the chance to witness incredible and unforgettable games:

“An indelible ‘patriotic’ memory was the Euro 2000 semi-final between Italy and Netherland, ended at penalties after an unbelievable match. On a historical point of view, I can say that ‘I was there’ for the stunning German win against Brazil in the 2014 World Cup.”

The passion for Sports can contrast with the nostalgia for bygone eras: often we lose passion towards a sport because of retired heroes or poor results from our favourite team, but this could apply also to Sports Covering:

“Nostalgia is part of life, but I try to deal with that on my personal own. For example”, Condò said, “think about admiring a view: after a while there will always be someone saying ‘nice, isn’t it? You should have seen that twenty years ago!’ I think that this represent an unconscious regret of our own youth, because maybe two decades ago the view was the same, but our eyes were better.” 

“Returning to football, I still consider Passion as the main engine that thrives through people, even if today’s football is the first global industry, a sector that provides jobs for millions of people. Everything begins from Passion, still today.”

Another indicator of the Passion about Sports is the confrontation between supporters and lovers, which today happens mainly inside the main Social Networks.
But how the Social Network affects the work of a Sports Journalist?

“I’m happy to be on Twitter and so far I have encountered few and negligible insults. I consider”, Condò said, “Social Network as inalienable for a journalist, because they’re a first source of information. Confrontation with your followers is vital, because it often happens that someone knows more than you on a specific topic.” 

“For example, you can be an expert of international football in general, but on the Socials you can meet someone who knows everything about Uzbekistan football, and on this topic you can only learn from him. Besides that, Twitter mirrors exactly your audience: it’s vital that the media, just like any other companies, knows their clients, even if it’s just to know what they’re interested into.”

“Media evolution has profoundly changed our MO. It’s important to maintain your moral principles, but the techniques have changed. It’s not casual that after 34 years in a newspaper I switched to television. An example of the change of the ‘mediatise’ football could be seen in my personal experience: I’m friend to several football managers and until few months ago I was always the one to call them on the phone. Since I work on television it has happened that they are the one to call me.”

A final question that surges is about the true ‘worthiness’ in pursuing a career in Journalism in an era where everyone can break a news, where is difficult to associate accuracy and “getting first”, where is hard to be paid worthily:

“Journalism’s world today is a difficult one. In my opinion, this work still makes sense if you approach it in a ‘old way’: travelling, reportage, months away from home pursuing a story or an interview.” 

“However, I am like a protected species in danger of extinction, it is really difficult to pay off a career like this. I wouldn’t recommend my sons a career in Sports Journalism, because today’s ‘new wave’ enters after infinite apprenticeship, in newspapers with reduced costs and salaries, with few travelling opportunities.” 

“But still, if one of my sons showed some talent and a remarkable passion I would indulge him into following a ‘freelance’ career: low cost travelling, investigating, discovering, writing or filming, selling on the international market rather than the Italian one, too small nowadays. It is a really difficult job, to which you have to be prepared (knowing different languages, having a broad knowledge, specializing deeply and being highly competitive). If someone would remove thirty-five years of my life and I would have to start over again, it’s definitely what I would do.”


– Chi è Paolo Condò?

Sono un giornalista sportivo di (quasi) 57 anni. Dopo 3 anni al Piccolo di Trieste e 31 alla Gazzetta dello Sport, da agosto lavoro come talent a Sky Sport. Sono un privilegiato: ho potuto fare della mia passione il lavoro della vita.

La genesi è stata relativamente semplice: cominciai a collaborare col Piccolo seguendo partite di calcio dilettantistiche, e siccome i risultati erano positivi nel giro di un anno – dopo aver coperto servizi sempre più impegnativi – venni assunto col fatidico articolo 18. Quasi due anni da giornalista praticante, l’esame di Stato superato, la telefonata della Gazzetta che mi aveva “notato”: da lì il trasferimento a Milano e tutto ciò che ne è conseguito.

– Quanto è importante la passione per il calcio nel suo lavoro?

Direi che la passione per il calcio valga il primo 33 per cento. Il secondo è la passione per la scrittura, il terzo per i viaggi. Avanza l’1 per cento che dedicherei all’ego.

– Dove si trova più gratificazione tra l’essere inviato in giro per il mondo o l’intervistare “individualmente” un personaggio sportivo? Perché?

Vite e carriere sono composte da diverse stagioni, la fortuna è poterle mettere in fila in modo coerente facendo le cose giuste al momento giusto. A me è successo, e se oggi sono un volto televisivo del quale la gente sembra fidarsi è perché avverte nelle mie opinioni l’eco di esperienze vissute. Parlando soltanto del puro piacere personale, nulla vale un bel viaggio in Paesi lontani, con la forza di un grande giornale alle spalle ma la necessità di cavarsela da solo sul campo.

– Quale partita sceglierebbe come la più emozionante della sua carriera? Perché?

Ci sono molti tipi di emozione. Se il senso della domanda riguarda il patriottismo, direi che la semifinale di Euro 2000 fra Olanda e Italia, nella quale prevalemmo ai rigori dopo uno svolgimento del match molto rocambolesco, sia un ricordo indelebile. Dal punto di vista storico, credo che dell’1-7 della semifinale mondiale fra Brasile e Germania si parlerà ancora fra cent’anni, e io c’ero. Ma su questo tema potremmo davvero far notte.

– Secondo lei c’é un rapporto tra la passione per uno sport e la nostalgia per “ere” passate dello stesso?

La nostalgia fa parte della vita, ma io cerco di coltivarla il più possibile nell’intimità, senza farla pesare a chi mi sta attorno (famiglia, colleghi). Qualsiasi panorama meraviglioso vi troviate ad ammirare, dopo un po’ verrà sempre uno a dirvi “bello, eh? Avresti dovuto vederlo vent’anni fa”: è un modo per difendere un senso di esclusiva, e in molti casi un inconsapevole rimpianto della propria giovinezza. Perché magari vent’anni fa il panorama era lo stesso, ma gli occhi che lo guardavano vedevano meglio.

– Si parla molto, specialmente negli ultimi tempi, del calcio come business. In che misura può esserci ancora spazio per del “romanticismo”?

Nessun bambino che inizia a giocare a calcio lo fa pensando ai soldi che potrebbe guadagnare. Questo significa che la passione è sempre il motore d’avviamento: è chiaro però che se un mondo in cui campano mille persone diventa la prima industria mondiale, dando da mangiare a milioni e milioni di addetti, le cose cambiano. E dal secondo ruggito del motore, altroché se sono cambiate. Ma dal secondo. Il primo, quello da cui tutto nasce, resta la passione.

– Pensa che i temi “economici” allontanino le persone dallo stadio o comunque dal seguire la propria squadra?

Direi di no. Anzi, vedo una certa tolleranza dei tifosi verso i propri club economicamente in difficoltà che un tempo non mi sarei aspettato.

– L’evoluzione dei media ha cambiato il suo modo di scrivere ed intervistare? In che misura?

Naturalmente sì, sarebbe sciocco il contrario. E’ giusto mantenere i propri principi morali, ma la tecnica cambia col passare del tempo. Tecnica e mezzo d’espressione: non è casuale il fatto che dopo 34 anni di carta stampata abbia deciso di passare alla televisione.

– Quale è l’importanza di un’interazione continua, via social network, con i propri lettori e con il proprio pubblico?

Sono su twitter con discreto divertimento, anche perché sin qui sono stato fortunato: gli insulti – che fanno parte dei possibili effetti collaterali – arrivano in misura davvero trascurabile.

Dal punto di vista giornalistico trovo i social irrinunciabili, le informazioni passano di lì come prima cosa. E il confronto con chi ti segue è prezioso, perché capita frequentemente chi ne sa più di te su uno specifico tema. Tu magari sei un ottimo esperto di calcio internazionale in generale: ma in rete c’è chi è assai più preparato sul calcio uzbeko, e da lui – sul tema del calcio uzbeko – hai soltanto da imparare.

Inoltre, Twitter rappresenta abbastanza fedelmente il pubblico al quale ti rivolgi, su un giornale o in tv o su internet: ed è giusto che anche i media, come le altre imprese, conoscano i propri clienti. Non necessariamente per dar loro ragione, ma per sapere cosa interessa loro e cosa no.

– Può raccontare qualche aneddoto (vissuto in prima persona) in grado di simboleggiare il cambiamento del calcio “mediatico”?

Sono amico di molti allenatori, ma fino a qualche mese fa li chiamavo sempre io. Da quando lavoro in tv, è capitato che siano loro a chiamare. Molto istruttivo.

– Cosa consiglierebbe ad un giovane che sogna il mondo del giornalismo sportivo?

Inutile nascondere che la situazione dell’editoria sia molto difficile, specie paragonandola con quella dei miei inizi. Secondo me questo lavoro ha un senso se riesci a declinarlo alla mia maniera: viaggi, reportage, mesi lontano da casa inseguendo una notizia o un’intervista.

Ma io sono un dinosauro in via d’estinzione, non ci sono più i soldi per finanziare carriere del genere, da nessuna parte. In linea generale quindi non consiglierei ai miei figli la professione di giornalista sportivo, perché i ragazzi che entrano adesso dopo lunghissime anticamere lo fanno in giornali dove i costi sono stati tagliati e le opportunità di viaggiare sono ridottissime. E fra topo di redazione e topo d’ufficio, il secondo ha orari molto migliori.

Se però uno dei miei figli mostrasse un talento e una passione davvero smisurati, allora lo asseconderei – anche economicamente, fin dove è possibile – e gli direi di fare il free-lance: viaggiare (ovviamente low cost), indagare, scoprire, scrivere o filmare, vendere sul mercato internazionale, perché quello italiano è troppo piccolo.

È un’impresa difficilissima, alla quale si deve arrivare armati fino ai denti (lingue straniere, cultura generale, specializzazioni profonde, competitività a mille): ma se mi togliessero 35 anni e dovessi ricominciare da zero, è quello che farei.